Quando lo sport ti toglie la vita
Lo so, il titolo della puntata non è sicuramente beneagurante, ma a me piace andare sempre a scoprire i meandri meno esplorati di tutto quello che ruota attorno allo sport.
E purtroppo anche la morte fa parte dello sport e ogni qual volta che mi è capitato di sentire una notizia in cui un atleta era morto sul campo, la mia prima reazione è sempre stata di stupore e sorpresa. Questo perché ci viene spontaneo pensare che atleti professionisti, siano quasi entità immortali, mica come chi come me dedica il giovedì sera al calcetto con il solo scopo di farsi una bella carbonara nel post partita.
Nella mia ricerca mi sono imbattuto in storie veramente particolari, ovviamente dagli esiti tragici, ma che mi hanno fatto pensare a quanto la casualità, la sfortuna o il fato determinano la linea sottile che divide la vita dalla morte.
Altra considerazione è che quando il momento arriva, non guarda sicuramente che sport si sta praticando.
Con questa chiacchierata intendo raccontare la storia di alcuni di loro, ma soprattutto come si sono imbattuti in ciò che ha determinato la loro fine.
Alcuni vi saranno completamente sconosciuti, di altri avrete sentito parlare, ma il mio intento è quello di onorare tutti coloro che non ci sono più.
Ippica Frank Hayes
Iniziamo dalla curiosa storia di Frank Hayes, fantino per caso, e ad oggi è l’unico atleta ad aver vinto una gara da morto.
Frank in realtà non era neanche un fantino, ma era un allenatore di cavalli e stalliere, ma il 4 Giugno 1923 al Belmont Park nello stato di New York, venne invitato a gareggiare in groppa ad un cavallo outsider di nome Sweet Kiss, dato 20 a 1 dai bookmaker, praticamente un brocco.
La gara ha uno sviluppo sorprendente e l’outsider, con un fantino “non fantino” taglia per primo il traguardo con Hayes ben saldo in sella.
Il problema nasce nel momento in cui la proprietaria dell’equino, tale Miss Am Fryling, si reca negli appositi spazi per congratularsi con Frank insieme agli ufficiali di gara. Solo in quel momento si accorgono che il fantino è ancora in groppa e non risponde a nessuna sollecitazione.
I soccorsi, a quel punto tardivi, non possono che constatare la morte del povero Frank Hayes; la causa che tolse la vita a un giovane ragazzo di 22 anni fu l’infarto.
Probabilmente l’eccessiva scarica adrenalinica, unita al fatto che il fantino aveva dovuto perdere molto peso in poco tempo passando da 64 a 58 kilogrammi, contribuì all’indebolimento del cuore, che lo portò alla morte.
Il fantino venne sepolto tre giorni dopo con la divisa sgargiante con la quale aveva vinto la sua unica gara e il povero Sweet Kiss, diventato nel frattempo Sweet Kiss of Death, non corse mai più.
Hockey su ghiaccio – Bill Masterton
William John Masterton, detto Bill, detiene un record che sicuramente avrebbe volentieri evitato.
E’ il primo ed unico giocatore di Hockey a morire a causa di un infortunio patito durante un incontro di NHL.
Nato a Winnipeg in Canada si innamora immediatamente dello sport nazionale del paese della foglia d’acero e cioè l’hockey su ghiaccio.
Dopo una fragorosa carriera universitaria firma il primo contratto da professionista con i Montreal Canadiens dove non trovò spazio e si trasferì per questo motivo ai Cleveland Barons in American League.
Divenne cittadino americano e solo in conseguenza all’allargamento della National Hockey League, riuscì ad esordire tra i massimi del gioco grazie al contratto biennale che il GM dei Minnesota North Stars, Wren Blair, gli offrì nel 1967.
Il 13 Gennaio 1968 si disputa la gara tra i North Stars e i California Seals che vede Masterton buon protagonista.
Nel corso dell’incontro le spinte e i colpi violenti sono all’ordine del giorno e chi non conosce questo sport forse non si rende conto di quanta fisicità si mette in campo; quindi, nella normalità degli eventi, due difensori di California, Larry Cahan e Ron Harris caricano il povero Bill, facendolo cadere violentemente in terra.
Mi sono chiesto come una caduta abbia potuto portare alla morte un’atleta, ma i miei dubbi sono terminati nel momento in cui ho scoperto che nel 1968 il caschetto non era obbligatorio e questo fatto mi ha lasciato senza parole. Tutta quella fisicità quasi senza limite, in cui il testosterone arriva a livelli pindarici non prevedeva l’obbligo di uso del caschetto????? Mah…
Tant’è, il povero Masterton in quell’occasione la testa la sbatte male e nonostante l’immediato trasporto all’ospedale, Bill morirà 30 ore dopo senza aver mai ripreso conoscenza. Aveva 30 anni.
Si dice che spesso serve una morte per rimediare agli errori e infatti, la morte di Masterton renderà obbligatorio l’uso del caschetto durante le partite da lì a poco tempo, ma purtroppo per Bill, troppo tardi.
A Masterton, la NHL ha dedicato un premio, il Bill Masterton Memorial Trophy, che ogni anno viene assegnato all’atleta che dimostra più dedizione, sportività e perseveranza.
I Minnesota North Star nel 1987 ritirarono per sempre la maglia n. 9 di Masterton; anche quando la franchigia si trasferì a Dallas nel 1993, il n. 9 non venne più usato.
Bob – Leopoldo Gasperi
Rimaniamo sempre al freddo, ma ci trasferiamo in Italia per incontrare lo sfortunato Leopoldo Gaspari.
Nato a Cortina d’Ampezzo si appassiona immediatamente agli sport di montagna per specializzarsi nella disciplina del bob.
Nel 1966 ai campionati italiani vince la medaglia di bronzo nel bob a 2 e diventa campione italiano di bob a 4 diventando un punto di riferimento per il movimento bobbistico italiano.
Sempre nel 1966 e proprio nella natia Cortina d’Ampezzo si svolgono i mondiali in cui l’Italia vincerà una medaglia d’oro e una d’argento nel Bob a 2.
Leopoldo è nella formazione di bob a 4 che si sarebbe contesa la medaglia contro quella tedesca. Nella prima manche l’equipaggio italiano segnerà il record della pista con 1’13”76, ma purtroppo quella gara non vedrà mai la sua fine in quanto il bob tedesco uscì di pista provocando la morte del pilota Toni Pensperger.
Purtroppo per Gaspari l’appuntamento con il destino arrivò solo qualche mese dopo.
Il 20 Gennaio 1967, durante una discesa di prova sul circuito di Breuil-Cervinia con il bob a 2, la slitta esce dalla pista uccidendo sul colpo il ventisettenne ampezzano.
Nel bob, nonostante le velocità elevate che si raggiungono, per fortuna gli incidenti spesso si risolvono solo con grandi spaventi ed è ovvio che gran parte del merito sia da ascrivere alle dotazioni di sicurezza e alla qualità dei materiali che si usano al giorno d’oggi.
Calcio – Antonio Josè Puerta Perez
Io purtroppo, alcune di queste morti le ho viste in diretta mentre si svolgeva l’evento…e devo confessare che le immagini rimangono ben salde nella mia memoria.
Oggi racconto la triste storia di Antonio José Puerta Pérez, calciatore spagnolo il cui ruolo era centrocampista esterno, ma che giocava anche da terzino sinistro.
Sivigliano del quartiere di Nervión, fece tutte le trafile delle giovanili dimostrando un amore cieco per i colori andalusi, arrivando ad esordire in Liga il 21 Marzo 2004 a 20 anni non ancora compiuti dimostrandosi un prospetto di livello, già molto richiesto da club importanti e soprattutto nel giro delle nazionali giovanili iberiche.
Nella stagione 2005/2006 contribuì in modo fattivo alla conquista dell’Europa League segnando il gol decisivo in semifinale contro i tedeschi dello Schalke 04, per poi partecipare alla festa della finale dominata 4 a 0 contro gli inglesi del Middlesbrough.
Dopo qualche mese vinse la Supercoppa europea contro i campionissimi del Barcellona e l’anno successivo rivinse la Coppa UEFA in una finale tutta spagnola contro l’Espanol ai calci di rigore e segnando proprio il rigore decisivo.
Ma il destino è proprio infame e proprio nel momento in cui Puerta stava per spiccare un volo meraviglioso il 25 agosto 2007 durante una partita della Liga contro il Getafe, Antonio cade in terra perdendo immediatamente conoscenza, colpito da un arresto cardiaco.
I compagni Dragutinovic e Palop gli impedirono di soffocarsi con la lingua e dopo l’intervento dei medici, Puerta si alzò e si diresse sulle proprie gambe verso la zona del cambio, ma proprio nel momento in cui il peggio sembrava passato venne colpito da altri cinque arresti cardiaci.
Trasportato immediatamente all’Ospedale, fu sottoposto a rianimazione cardiopolmonare e in conseguenza ad una encefalopatia post-anossica, Antonio Puerta venne dichiarato morto il 28 agosto alle 14.32 a soli 22 anni.
Probabilmente Antonio Puerta soffriva di una displasia ventricolare, che è causa di morte improvvisa tra i giovani quando non viene diagnosticata.
In questo caso, la beffarda mietitrice non è riuscita appieno nel suo intento, visto che la compagna di Puerta era incinta e dopo qualche mese, diede alla luce Aitor Antonio, che per sempre onorerà il nome del padre.
Che dire, una vita finisce e un’altra che nasce, ma è una magra consolazione perchè quando muore un ragazzo di 22 anni che sia un calciatore o un barbiere, che sia famoso o uno sconosciuto, la vita sembra sempre tanto ingiusta.
QUI Per leggere la PARTE 2 DELL’ARTICOLO
by Fabrizio Roscitano
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